NOTE DI STORIA LOCALE SINO ALL'UNITA' D'ITALIA
(ultimo aggiornamento: ottobre 2023)
(ultimo aggiornamento: ottobre 2023)
Quanto segue non intende raccontare minutamente gli eventi storici del territorio, ma soltanto inquadrarne l'organizzazione politico-amministrativa nel corso dei secoli.
L’attuale territorio collinare del circondario di Marostica già in età romana era detto Roveredo (o Rovereto o Rovredo), poiché caratterizzato da vasti boschi di rovere, che fornivano le ghiande utilizzate per il nutrimento dei molti animali. Dal latino robur (rovere) deriva Roboretum e quindi Roveredo. Si estendeva sino a Conco e alla Val Chiama, cioè fin nei pressi dell’attuale frazione Sasso di Asiago.
Di origine romana sono anche gli altri principali macrotoponimi dell’altopiano dei Sette Comuni, visto che i primi importanti insediamenti avvennero anteriormente al 1100 d.C., quando popolazioni germaniche, impropriamente chiamate Cimbri, arrivarono sulle montagne vicentine.
A cominciare dalla tarda età romana e poi nell’Alto Medioevo parte delle foreste dell’altopiano, appartenenti a diversi feudatari, vennero disboscare e rese coltivabili per incentivare il popolamento.
Opera di bonifica e dissodamento fu fatta anche sulle colline e nella pianura del marosticense dopo l’arrivo dei monaci benedettini, che in quel di San Floriano fondarono, attorno all’anno Mille, un importate monastero, centro di evangelizzazione di una vasta aerea.
Nel territorio marosticense sono ancora riscontrabili varie tracce del periodo preromano e soprattutto romano; Marostica infatti rappresentò un importante punto d’intersezione di antiche vie romane tra la pianura e l’altopiano, cerniera e confine fra popoli in frequente contrasto. Tale collocazione ne giustifica sia la fortificazione sia l’estensione della giurisdizione sull’altopiano.
Caduto l’impero romano, gran parte del territorio della penisola italica fu oggetto di conquista di diverse popolazioni barbariche; quelle che più a lungo ne ebbero il controllo furono prima i Longobardi (secoli VI-VIII) e poi i Franchi (secoli VIII-X) con Carlo Magno e i suoi successori, in particolare quelli del ceppo germanico.
Uno di questi, Berengario I detto del Friuli, sul finire dell’800 riuscì a farsi riconoscere sovrano di un precario regno d’Italia. Per averne un buon controllo si appoggiò soprattutto ai vescovi, piuttosto che ai vari signori locali più interessati a propri scopi dinastici che alla fedeltà al sovrano.
Berengario donò il vasto territorio montano e pedemontano veneto al vescovo di Padova Sibicone di origine germanica, che fu così investito del potere politico, militare e giudiziario, in aggiunta a quello ecclesiastico, con facoltà di erigere castelli o fortificazioni a scopo difensivo.
Più tardi fra XI e XIII secolo il territorio veneto vide l’ascesa della famiglia di probabile origine germanica dei Da Romano detti anche Ecelini che, riconosciuta la valenza strategica della posizione di Marostica, decisero di continuarne il processo di fortificazione.
Dopo la caduta degli Ezzelini, tutto il territorio dell’entroterra veneto fu sconvolto da aspre contese, nelle quali intervennero i comuni di Vicenza e Padova e infine potenti famiglie signorili come gli Scaligeri. Questi ultimi compirono un importante atto nei confronti della popolazione delle cosiddette “alpi vicentine”, cui nel 1339 con diploma di Mastino II Dalla Scala furono riconosciuti alcuni privilegi fiscali: nascevano così i Sette Comuni, che iniziarono ad esercitare le prime forme di autonomia.
Il riconoscimento di questa sorta di autogoverno trova giustificazione anche nell’isolamento in cui vivevano le popolazioni alpigiane e contribuì a consolidare una comunità con una forte identità e con usi e costumi propri.
Poco più tardi, nel 1404, Vicenza e tutto il suo territorio fecero dedizione alla Repubblica di Venezia, che aveva iniziato ad estendere il suo dominio sulla Terraferma.
Marostica divenne sede di un’ampia podesteria, che andava da Breganze alla riva destra della Brenta cioè fino ad Angarano e da Sandrigo fino alle propaggini dell’altopiano. Già dall'anno successivo però i territori dei Sette Comuni tentarono di staccarsi da essa facendo appello a Vicenza, che già reggeva Marostica, ma ottennero soltanto la riconferma delle agevolazioni fiscali e l’istituzione di una propria pretura con potere giudiziario, ritenuta però illegittima da Marostica, che evidenziava come tutto il territorio vicentino, e quindi anche l’altopiano, fosse soggetto all’amministrazione della Repubblica di San Marco rappresentata dalla podesteria marosticense.
Venezia confermò ai Sette Comuni esenzione dai dazi e promise dotazioni militari, in cambio della fedeltà alla Repubblica e della sorveglianza con una milizia propria dei confini settentrionali minacciati dalle mire espansionistiche degli austriaci; in aggiunta i Sette Comuni si impegnavano a regolari forniture di carbone e di legname per l’Arsenale.
Altro grande privilegio riconosciuto alla Reggenza in campo amministrativo era il potere di nominare il proprio Consiglio composto da 14 rettori, due per ciascun comune.
Venezia invero riconobbe solo in parte l'autonomia dei Sette Comuni, (timorosa di creare un precedente per altri territori), ma con i privilegi fiscali concessi alle genti dell’altopiano se ne garantì comunque la fedeltà contro gli allettamenti del vescovo di Trento e del duca d’Austria.
In seguito l’esenzione da alcune contribuzioni fiscali poté essere estesa anche alle popolazioni delle “contrade annesse” (fra cui Conco, Fontanelle, S, Caterina, Vallonara, Crosara, S. Luca) che si impegnarono a partecipare alla milizia dei Sette Comuni.
Nel corso degli anni anche gli abitati di Valstagna, Oliero, Campolongo, Campese e Angarano vennero annessi al territorio della Reggenza sotto il nome di “contrade unite” alle quali nel 1725 si aggiunse anche Valrovina.
Nel 1725, anche per ridurre i frequenti contrasti per questioni territoriali, furono definiti i confini delle contrade annesse e furono collocati i cippi confinari nella zona meridionale.
Nei confronti di Venezia gli alpigiani si dimostrarono leali ed impavidi in più occasioni, come quando cacciarono l’invasore austriaco arciduca Sigismondo nel 1487, l’imperatore Massimiliano I d’Austria nel 1508 e soprattutto durante la guerra della lega di Cambrai contro Venezia, che arrivò a coinvolgere l’intero territorio marosticense. Memorabile la cacciata del principe tedesco di Anhalt nel 1510, che, dopo aver imboccato la valle di San Floriano ed essere giunto a Tortima, fu respinto dagli agguerriti montanari. Stessa sorte toccò agli spagnoli nel 1513, che a migliaia avevano invaso Marostica e le colline circostanti.
Marostica sede della podesteria col tempo aveva assunto un ruolo sempre più importante sui “monti superiori dalla parte di Marostica”, esercitando il pieno potere amministrativo e giudiziario. Questa condizione non era ben accettata in altopiano in particolare nei vicini villaggi collinari che non ritenevano giusta la tassazione dei lori angusti ed impervi terreni al pari delle fertili pianure di Marostica e miravano alla possibile esenzione fiscale, di cui godeva la Reggenza dei Sette Comuni.
Su questi temi si avviò una competizione permanente fra i Sette Comuni e Marostica con il coinvolgimento di Vicenza e soprattutto di Venezia e del suo Senato.
La disputa cessò solo con la caduta della Serenissima.
Occorre qui precisare che l’autonomia dei Sette Comuni è stata fin troppo enfatizzata da alcuni storici del passato, che sono arrivati a equipararla alla Confederazione Elvetica. Come mostrano alcuni studi più recenti e rigorosi l’altopiano rimase sempre privo del potere politico e di quello giudiziario propri di uno stato federale.
A partire dal Medioevo sino a prima dell’età napoleonica, il comune non era l'ente giuridico territoriale come è inteso oggi, ma un’associazione volontaria di famiglie di un territorio ed aveva come scopo la mutua difesa e la regolazione di interessi privati ed eventuali conflitti. Perché esistesse un comune era sufficiente che le famiglie abitassero entro un territorio ben definito e fossero collegate fra di loro da una consapevole comunanza di interessi e da legami di affinità.
Le famiglie o meglio i gruppi famigliari dei diversi nuclei territoriali del comune erano dette colmelli o colonnelli o riparti e i loro capi si riunivano annualmente il giorno dei Santi Pietro e Paolo, cioè il 29 giugno, in adunanze dette vicinie, in cui venivano nominati i 30 amministratori del territorio detti offitii, tra cui il sindico (sindaco).
Gli abitanti di ciascun comune erano detti comunisti.
I territori formati dai colonnelli di Conco, Crosara, Gomarolo, Val Onara e Valle di San Florian componevano il comune di Roveredo ed erano detti comuni inferiori o contrade di mezzodì.
Nel 1606 Roveredo decise di non pagare più le imposte a Marostica e si costituì come comune autonomo; l'operazione fu appoggiata dalla Reggenza dei Sette Comuni che, col miraggio delle esenzioni fiscali, ma anche con false documentazioni notarili, tentava di congiungere a sé, più precisamente al comune di Lusiana, la parte collinare di Marostica.
Nel corso del ‘600 il comune di Roveredo, a causa di conflitti interni, si divise in comune di Roveredo Alto (detto anche Costalanda), “aggregato” a Lusiana, comprendente i territori di Conco, Fontanelle, Val di San Florian, Gomarollo e Crosara, e Roveredo Basso (detto anche Comunella) comprendente i territori di Vallonara, San Luca, Molvena e Pianezze.
In questo contesto è plausibile che il territorio di Pradipaldo appartenesse a Crosara, anche se è opportuno precisare che i confini territoriali delle varie frazioni e dei vari comuni non sono sovrapponibili a quelli attuali.
Discordie intestine al comune di Roveredo Alto provocarono un’ulteriore divisione fra le varie contrade, ufficializzata nel 1681 da Venezia con il Concordio del Capitanio Benedetto Capello. Il documento sancì di fatto la nascita dei comuni di Conco e di Crosara; in esso sono nominate anche le contrade di Erta e Speron.
Questi nuovi comuni costituivano unità territoriali separate e con distinti oneri tributari rispetto ai cittadini di Marostica, ma erano di fatto privi di autonomia amministrativa e giudiziaria e quindi sempre dipendenti dalla podesteria di Marostica, nonostante il Consiglio dei Dieci nel 1722 li avesse riconosciuti ufficialmente come vere contrade appartenenti al comune di Lusiana.
Nel 1796 in seguito a discordie e lagnanze, il territorio di Conco si divise in due comuni, Dossanti composto da Santa Caterina e Sant’Antonio delle Fontanelle, e Conco composto da Conco stesso e Gomarollo.
La divisione fu ricomposta nel 1807 e da allora il territorio comunale di Conco è rimasto immutato sino al 2019 quando si è fuso con Lusiana assumendo il nome Lusiana Conco.
I comuni come li conosciamo oggi hanno anche un luogo, il municipio, in cui si ritrovano amministratori e consiglieri e in cui ci sono gli uffici al servizio dei cittadini, ma fino all'Ottocento i "vecchi comuni" (che erano associazioni di famiglie di un territorio con interessi condivisi), in particolare quelli di modeste dimensioni non avevano una sede stabile. Fanno eccezione quelli di grandi dimensioni o quelli come Marostica che risalgono all'Età Comunale" del '300.
Il capitello della Madonna del Mieza sul ponte Barbola alle porte di San Floriano.
L'epigrafe vicina al capitello con funzione di cippo di confine.
Le invasioni francesi nel territorio veneto che sancirono la fine della Repubblica di Venezia, si ripercossero ovviamente anche sul territorio di Marostica e decretarono la fine delle tormentate vicende delle contrade annesse.
Il 27 aprile 1797 se ne andò dal castello di Marostica l’ultimo podestà veneziano, Zaccaria Luigi Balbi, ed il 12 maggio cessò ufficialmente di esistere la Repubblica di San Marco, il cui leone fu rimosso a colpi di scalpello dalla facciata del castello inferiore di Marostica dove fu istituita la municipalità.
A testimoniare che il dominio della Serenissima non era stato vissuto come oppressivo dalla popolazione, i francesi furono accolti con freddezza, tanto che numerosi altopianesi e marosticensi parteciparono alle Pasque Veronesi, insurrezioni popolari contro l'occupazione francese.
La Francia incorporò i territori veneti nel regno d'Italia (prima nella repubblica Cisalpina) fondato da Napoleone nel 1805 e il 29 giugno 1807 fu abolita anche la Reggenza; i territori del regno furono suddivisi in dipartimenti e quello vicentino era detto del Bacchiglione, governato dal regio prefetto Pio Magenta. Il dipartimento era a sua volta composto dai distretti di Vicenza, Lonigo, Schio e Asiago; il distretto di Asiago comprendeva anche il cantone di Marostica ed era retto dal viceprefetto Antonio Quadri.
Il distretto di Bassano invece apparteneva inizialmente al trevigiano dipartimento del Tagliamento, ma nel 1807 fu attuata una riorganizzazione nell’area, in seguito alla quale Bassano e Castelfranco passarono al distretto vicentino del Bacchiglione e Lonigo passò al dipartimento veronese detto dell’Adige.
La nuova suddivisione interna del Bacchiglione comprendeva cinque distretti minori: Vicenza, Schio, Bassano (con i cantoni di Bassano, Asolo, Marostica e Quero), Asiago (con il solo cantone di Asiago) e Castelfranco. Tuttavia il territorio di Crosara e Vallonara, non seguì inizialmente il destino di Marostica e, poiché faceva parte di quelle che ancora qualche anno prima erano dette “contrade annesse”, rimase nel distretto di Asiago.
Dopo alterne vicissitudini provocate dall’occupazione austriaca e dalla rioccupazione francese, nel 1815 il Congresso di Vienna assegnò i territori veneti, e quindi anche il marosticense, all'impero d'Austria all’interno del regno Lombardo-Veneto.
Con gli austriaci fu attuata una suddivisione in province e distretti e furono riconosciuti come comuni autonomi sia Vallonara che Crosara e Pianezze.
I distretti vicentini divennero tredici e quello dei Setti Comuni, comprensivo delle ex contrade annesse era il VI. Vallonara aveva come frazioni Caribollo e Valle San Floriano (con Pradipaldo e Speron come contrade).
Curiosamente il comune di Vallonara nei primi decenni del 1800 aveva la sede fisica nella frazione di Valle perché più centrale nel territorio comunale: più tardi la sede fu trasferita nel centro di Vallonara, per la maggiore vicinanza alla strada che ancora oggi collega Marostica con l’altopiano.
In quel momento Marostica aveva come unica frazione Roveredo Basso, che, da quando aveva cessato di essere comune, aveva perso il controllo su diversi territori.
Anche se i principali libri di storia del marosticense non ne fanno menzione, è quasi certo che per un breve periodo (sino forse al 1820), Valle San Floriano era comune autonomo; questo è desumibile dalla presenza nell'archivio di Stato di suoi registri di stato civile. Inoltre la mappa del catasto napoleonico, datata 1813, riporta chiaramente la dicitura “comune” ed indica come sindaco, forse il primo, Pietro Bernardi. In questa mappa il territorio del comune di San Floriano include Pradipaldo, Caribollo ed una piccola parte dell’attuale Vallonara.
Invece, il catasto austriaco degli anni ‘30 dell’Ottocento, sancisce solo l’esistenza del comune “censuario” e non “amministrativo”, di Valle San Floriano, con un territorio privo di Caribollo e della porzione di Vallonara. La creazione del comune censuario Valle-Pradipaldo fu attuata ai fini del calcolo delle imposte sui fondi e delle relative rendite.
Questa situazione durò sino all’1 luglio 1853, quando una nuova ripartizione territoriale ridusse a dieci il numero di distretti vicentini e soprattutto il territorio del comune di Vallonara entrò a far parte del distretto V di Marostica. Stessa sorte toccò ai comuni di Crosara e Conco, i cui territori furono smembrati dal distretto VI di Asiago.
Ad uscire dall’antico territorio dei Sette Comuni, oltre alle “contrade annesse”, furono anche le “contrade unite” del Canale del Brenta, che furono aggregate al distretto di Bassano.
In seguito alla guerre d'indipendenza combattute per sottrarsi al dominio austriaco, il 22 ottobre 1866 si svolse con discutibili modalità un referendum, in conseguenza del quale i territori veneti furono annessi al regno d’Italia; più precisamente per il comune di Vallonara questo avvenne ufficialmente il 20 novembre 1866 con ratifica nel regio decreto n° 3300 del 4 novembre 1866.
Una mappa di metà '800 del territorio delle contrade annesse; in rosso il comune di Vallonara nel quale confluì Pradipaldo nei primi decenni dell'Ottocento.