CHIESA
(ultimo aggiornamento: novembre 2023)
(ultimo aggiornamento: novembre 2023)
La denominazione ufficiale della chiesa cattolica di Pradipaldo è “Pradipaldo Santi Osvaldo e Vincenzo Ferrer”, in latino “Ss. Osvaldi M. et Vincentii Ferr. de Pratipaldo”.
La parrocchia rientra nella regione ecclesiastica del Triveneto, diocesi di Padova e vicariato foraneo di Lusiana (un tempo vicariato di Laverda e ancor prima di Conco), del quale fanno parte anche le seguenti parrocchie: Conco [Santi Maria e Marco], Crosara [Santi Bortolo e Bartolomeo Apostolo], Crosara San Luca [Santi Giovanni e Luca], Fontanelle [Sant’Antonio di Padova], Laverda [Santa Maria Maddalena], Lusiana [San Giacomo], Mure [Santo Stefano], Perlena [San Giorgio], Rubbio [Natività della Beata Vergine Maria], Santa Caterina di Lusiana [Santa Caterina], Salcedo [Santi Quirico e Giuditta], Valle San Floriano [San Floriano].
Qualche anno fa. Una veduta con la chiesa al centro.
Primi anni '90. Una veduta aerea.
La chiesa ha un’unica navata e tre altari: il maggiore, quello della Madonna della Salute e di fronte quello dei santi patroni Osvaldo (re martire di Northumbria, 5 agosto) e Vincenzo Ferrer (prete spagnolo, 5 aprile). L’attuale altare maggiore è stato costruito sul finire degli anni ‘50 per volontà e con contributo di don Alfredo Dal Santo. Il vecchio altare maggiore è stato smontato e ricostruito nell'attuale posizione diventando l'altare dei santi patroni: vi fa bella mostra una pala, collocata tra colonne, in cui sono raffigurati la Madonna in gloria tra i santi Vincenzo Ferrer e Osvaldo.
Questa pala ritenuta novecentesca si trova però già descritta in un libro dei primi dell’Ottocento dello storico Gaetano Maccà, per cui è probabile che sia stata realizzata già sul finire del Settecento. Nel 2011 la pala è stata restaurata per volontà di un’anonima benefattrice.
Il nuovo altare maggiore "più importante" anche nelle dimensioni è in marmo variegato dai colori caldi.
L’organo, ora non più in funzione perché da restaurare, è della ditta G.B. Zordan datato 1870 e in precedenza stava nella chiesa di Grumolo Pedemonte frazione di Zugliano. Di lì, per iniziativa di don Alfredo Dal Santo, appassionato di musica sacra, nella seconda metà degli anni ’70 è approdato a Pradipaldo.
Il piccolo sagrato è stato realizzato dopo la prima guerra mondiale utilizzando fondelli dei bossoli, in memoria di un incidente accaduto nei pressi della chiesa, in cui fu coinvolto un autocarro carico di munizioni, che si ribaltò senza provocare danni a persone.
Nel 1963 in seguito ai lavori di allargamento della strada della Fratellanza fu ricostruito il muro di sostegno della piazza.
La facciata è in stile neoclassico e l’edificio ha pianta irregolare; a livello strutturale l’attuale chiesa è frutto dell’allargamento del 1886; l’aspetto interno attuale è il risultato anche di lavori di restauro degli anni ‘60 e ‘90 del secolo scorso, che hanno aggiunto alcune nuove decorazioni e soprattutto le vetrate policrome delle due finestre semicircolari.
L'ingresso della chiesa con il sagrato realizzato con i bossoli.
Le immagini raffigurano un'elaborazione grafica delle mappe catastali relative a chiesa, canonica e campanile.
La figura 1 si riferisce alla mappa napoleonica del 1813, quindi è probabile che si tratti della chiesa originaria terminata nel 1751 a meno che non siano stati eseguiti lavori di ampliamento pochi anni dopo la costruzione. La canonica aveva dimensioni modeste.
La figura 2 si riferisce alla mappa austriaca degli anni '30 del 1800, nella quale si nota un ampliamento della canonica.
La figura 3 si riferisce alla mappa del catasto italiano dei primi del '900 e mostra la chiesa e la canonica ampliate alle dimensioni attuali; ancora presente il vecchio campanile.
La figura 4 si riferisce ai giorni nostri e da essa si nota che il nuovo campanile del 1947 fu costruito in posizione leggermente arretrata rispetto al vecchio.
N.B. Le rappresentazioni non devono essere analizzate nel dettaglio poiché le mappe catastali anche a distanza di pochi anni, disegnano gli edifici con alcune leggere differenze probabilmente dovute a rilievi e riproduzioni con mezzi meno precisi di quelli dei giorni nostri.
La facciata della chiesa e il campanile oggi.
La scalinata che porta alla piazza della chiesa.
La pala con i santi e la Madonna.
L'appartenenza alla diocesi di Padova può sembrare incongrua per un territorio che da sempre si riconosce amministrativamente nelle città di Maostica e Vicenza. Per cercarne una giustificazione occorre ricordare che le vicende politiche e quelle religiose furono tra loro fortemente intrecciate in tutto il Medioevo, in Età Moderna e ancora oltre.
In età romana Vicenza era una città decisamente meno importante del municipium di Padova, che divenne il centro di diffusione del cristianesimo nel territorio veneto; l’evangelizzazione seguiva le vie commerciali ed il territorio marosticense si trovava lungo la via patavina, costruita per consentire la transumanza tra la pianura veneta e l’altopiano, più tardi denominato "dei Sette Comuni", delle numerose greggi di ovini, che fornivano la lana per l’industria tessile padovana. Proprio il più stretto collegamento sociale ed economico con Padova consentì, soprattutto a partire dai secoli X e XI, che in altopiano si avviasse un lento ma progressivo popolamento dei siti dove sussistono gli attuali paesi e delle valli meridionali.
Le invasioni barbariche a partire dal IV secolo avevano provocato prima la caduta dell’impero romano e poi un lungo periodo di incertezza in Europa e quindi anche nel territorio dell’alto vicentino. Solo verso la fine del primo millennio alcune azioni politico-militari parvero dare una qualche stabilità al nostro territorio.
Nel 915 il re d’Italia poi imperatore Berengario I detto del Friuli, decise di donare al vescovo di Padova Sibicone il vasto territorio montano e pedemontano dall’Astico al Brenta, con il potere di amministrare la giustizia, dirimere liti, imporre dazi ed anche edificare castelli a protezione del circondario e delle vie d’accesso alle montagne. Con queste concessioni nel clima di insicurezza e di lotte per il potere del tempo, il re cercava di ottenere il sostegno degli influenti vertici locali della chiesa.
A seguito di questa donazione il vescovado patavino venne riconosciuto feudatario del territorio con potestà ecclesiastica e civile nei confronti della popolazione, che era obbligata al versamento della decima.
Sorvolando sui cambiamenti che hanno visto vari soggetti religiosi e politici alternarsi o succedersi nell’amministrazione del territorio fino al XIX secolo, è utile precisare che prima della caduta della repubblica Serenissima nel corso della Campagna d'Italia di Napoleone, non esisteva l’ente amministrativo “provincia”, ma Vicenza esercitava comunque alcuni limitati poteri su varie città minori; fu solo nell’Ottocento che vennero creati i dipartimenti (provincie) definendone chiaramente i poteri e i confini. In seguito a ciò emerse che alcuni territori amministrativamente parte del dipartimento vicentino appartenevano ecclesiasticamente alla diocesi di Padova e viceversa.
Inoltre il territorio sul quale aveva giurisdizione la diocesi di Padova, risultava diviso in due aree non contigue. A porvi rimedio fu un atto dell’imperatore d’Austria Francesco I, poi ratificato nella bolla papale “De salute dominici gregis” di papa Pio VII del 1 maggio 1818. Con questo intervento gran parte del circondario di Cittadella passò alla diocesi di Padova, che in cambio cedette a quella di Vicenza parte del marosticense; in tal modo il territorio della diocesi di Padova assunse una conformazione a clessidra.
Ciò comportò e ancora comporta una gestione non sovrapponibile di amministrazione civile e giurisdizione religiosa soprattutto nel territorio di Marostica; infatti le parrocchie Pradipaldo, Valle San Floriano, Crosara e San Luca, pur facenti parti del comune di Marostica e della provincia di Vicenza, dipendono dalla diocesi di Padova.
Fra le diocesi italiane quella di Padova ha un’estensione inferiore solo a quella di Milano.
Una cartina dell'attuale territorio della diocesi di Padova con bordati in rosso i territori del marosticense e del bassanese passati alla diocesi di Vicenza nel 1818; quindi Colceresa, Marostica, Bassano e Cassola, appartengono in parte a Vicenza ed in parte a Padova.
L’evangelizzazione nel territorio marosticense ebbe inizio attorno all’anno Mille con l'edificazione del monastero dei benedettini a Valle San Floriano.
I benedettini con importanti opere di disboscamento e di bonifica delle aree di fondovalle seppero creare un vasto territorio coltivabile ed abitabile. Il monastero arrivò a controllare un'area, che comprendeva anche il canale del Brenta e su fino a Foza. La gestione economica si avvaleva degli introiti derivanti dalla concessione delle terre a privati benestanti.
Più avanti l’abbazia iniziò a decadere e pare sia stata distrutta da un incendio.
La collocazione dell’edificio non è certa, ma sembra sorgesse nei pressi dell’attuale chiesa di Valle, che si dice essere stata edificata attorno al XV secolo con le pietre dell’antico monastero. Fu quella di Valle la chiesa di riferimento per i pradipaldesi fino a quando non eressero la propria e anche oltre.
L'attuale chiesa di Valle San Floriano con campanile e canonica.
Valle San Floriano e Pradipaldo fino al ‘900 erano collegati solo con alcuni sentieri e una mulattiera e per la gente delle contrade Speron e Pradipaldo recarsi a messa a "San Florian in Valle" era assai disagevole; ancora più complicato durante la stagione invernale e in occasione dei funerali, quando si doveva trasportare il feretro. Era chiaramente molto impegnativo o addirittura impossibile per le persone anziane o inferme e per le donne incinte raggiungere la chiesa.
Il 16 settembre 1688 il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo, canonizzato nel 1960, visitò la chiesa di Valle San Floriano e poté constatare le oggettive difficoltà che avevano le due contrade di Pradipaldo e Speron a raggiungere la propria chiesa parrocchiale. In quell’occasione esortò il sacerdote, la popolazione ed il comune ad erigere a Pradipaldo una chiesa, nella quale anche insegnare ai fanciulli la dottrina cristiana.
Dopo oltre cinquant’anni il 27 gennaio 1743 venne inoltrata al vescovo dell'epoca la petizione delle 25 famiglie delle contrade Speron e Pradipaldo, composte di 160 anime, che chiedevano al vescovo Carlo Rezzonico (divenuto poi Papà Clemente XIII) il permesso di erigere a proprie spese una chiesa e di provvedere al mantenimento di essa e del sacerdote incaricato di celebrare la Santa Messa. Anche il parroco di Valle Pietro Bresciani appoggiò l’idea con propria lettera del 2 febbraio 1743, in cui evidenziava i gravi disagi, che spesso dovevano affrontare gli abitanti delle due contrade montane, per raggiungere la chiesa di Valle per la messa domenicale.
"Nella mia numerosa parrocchia v'è una contrada situata sopra un alpestre monte et alto e per l’ascesa di due grosse miglia incomodissimo, detto Pradipaldo, con strade difficilissime, onde questa povera gente non può, se non con grande suo incomodo, venire nei giorni festivi ad ascoltar la Santa Messa e la Dottrina Cristiana, ed è costretta di quando in quando mancar da questa vita senza il Santissimo Viatico ed assistenza in tempo di morte".
Queste lettere emozionarono il Presule a tal punto che tra le sue carte è presente una minuta, rara per essere scritta direttamente di sua mano, nella quale egli si appuntò: “Ho creduto molto necessario per quelle povere famiglie che in tanta lontananza e difficoltà delle strade, non potevano...spesso condursi alla chiesa...”
Il 23 luglio 1746 gli abitanti si impegnarono formalmente alla costruzione dell’edificio di culto sul fondo concesso da Zuanne Crestan (Giovanni Crestani), con la promessa di sostenere tutti i costi di edificazione e di onorare le spese per il sacerdote, che nei giorni festivi salisse a celebrare la Santa Messa.
Nello stesso anno si recò in visita a Valle San Floriano il vescovo Carlo Rezzonico e pare che in quell'occasione si sia recato a Pradipaldo, sebbene la chiesa non fosse ancora costruita.
Il 20 aprile 1747 il Senato Veneto (Consiglio dei Pregadi) concesse il permesso per la costruzione.
L’edificazione della chiesetta alpestre terminò nel 1751 ed il 21 dicembre dello stesso anno l’oratorio fu benedetto ed ebbe cappellania propria ma sussidiaria di Valle San Floriano.
L’intitolazione a San Vincenzo Ferrer è molto probabilmente opera di padre Pietro Paolo Mezzanelli di Verona, domenicano osservante, zelante predicatore e missionario apostolico. Fu lui a persuadere le genti di Speron e Pradipaldo ad erigere la chiesa ed è a lui che sono attribuite alcune guarigioni, ottenute per mezzo dell’imposizione di una reliquia di San Vincenzo a cui era devoto. A ricordare la figura del padre è la seguente iscrizione.
“Ecclesia D. O. M. in honorem S.S. Vincentii
Ferrerii et Osvaldi Regis Excitante P. Petro Paulo
Mezzanellio O. P. Apostol. Mission. in circumstantis
Populi commodum pubblica Piorum Stipe MDCCXLVII.
a fundamentis erecta; fuit ab eodem, die XXI. Decembris
an. MDCCLI. de licentia Caroli Card. Rezzonici
Episcopi Patavini, postea summi Pontificis,
solemniter benedicta.”
La traduzione recita:
“Chiesa a Dio ottimo e massimo, in onore di San Vincenzo
Ferreri e di Osvaldo re, essendo promotore P. Pietro Paolo
Mezzanelli dell'ordine dei predicatori. Nell'occasione
di una missione fu eretta dalle fondamenta nel 1747.
Fu solennemente benedetta il 21 dicembre
1751 con licenza del Card. Rezzonico
Vescovo di Padova e poi del Sommo Pontefice”
La visita pastorale del 1818 del vescovo Scipione Dondi Dall’Orologio riporta che, oltre alle reliquie di Sant’Osvaldo e San Vincenzo, erano presenti reliquie di San Valentino, San Pasquale, San Simone e San Sebastiano, tutte con autentica.
Fin dalla costruzione della piccola chiesa diversi miracoli vennero attributi a Sant’Osvaldo, cui numerosi fedeli ricorsero per ottenere grazie. A dimostrare che si stava trasformando in santuario è la presenza di alcuni ex-voto (piccoli oggetti offerti dai fedeli in ringraziamento per aver viste esaudite le proprie preghiere), inizialmente esposti in chiesa ed attualmente custoditi in canonica.
La notorietà fece sì che anche il vescovo Antonio Giustiniani, nel 1777 in visita pastorale a Valle San Floriano, volle recarsi a Pradipaldo ed in seguito a positivo riscontro, concesse alcuni benefici.
Sin dalla creazione del primo luogo di culto a Pradipaldo, l’intera gestione ed organizzazione faceva capo alla chiesa matrice di Valle San Floriano.
Il rettore di Pradipaldo aveva l’obbligo di partecipare alle funzioni nella chiesa parrocchiale di Valle nei giorni festivi, nelle ricorrenze di San Floriano, della Beata Vergine del Rosario e di Ognissanti.
Per preservare i diritti della chiesa matrice di Valle, nella chiesetta di Pradipaldo non si potevano celebrare messe nelle feste solenni, né celebrare matrimoni e funerali, né cantare i vespri. I massari di Pradipaldo però non si scoraggiarono e dopo essersi presentati al vescovo di Padova Carlo Rezzonico, ottennero con decreto del 21 marzo 1752, che il sacerdote, meglio il curato, potesse spiegare con predica il Vangelo durante la Santa Messa, insegnare la dottrina cristiana ai fanciulli alla domenica e negli altri giorni festivi di precetto.
Il 1 agosto 1777 il vescovo Antonio Giustiniani concesse facoltà al rettore di celebrare messa anche nelle feste solenni, ma solo dietro licenza del parroco di Valle, e che si recitasse la terza parte del rosario.
Il 25 maggio 1808 il vescovo Scipione Dondi Dall’Orologio autorizzò la conservazione del Santissimo Sacramento nella chiesetta di Pradipaldo e concesse che nelle domeniche e altre feste si cantassero i vespri. Fino ad allora neanche la comunione poteva essere somministrata senza il permesso del parroco di Valle.
Segnò un parziale ripensamento il decreto del 17 giugno 1815 con cui lo stesso vescovo pose un limite alle concessioni, probabilmente perché gli abitanti di Pradipaldo non erano in grado di sostenere le spese relative alla chiesa con le sole entrate derivanti dalla questua chiesta ai poveri contadini.
Pochi anni dopo la fabbriceria di Pradipaldo avanzò una supplica al nuovo vescovo Modesto Farina il quale, con decreto del 6 dicembre 1832, concesse che si potesse impartire di nuovo l'insegnamento del catechismo ai fanciulli solo però nelle domeniche di quaresima. I benefici furono confermati anche grazie al lascito fondiario di Bartolomeo Marchiori del 1815, in forza del quale la chiesa di Pradipaldo poté ricavare delle entrate dalle concessioni in uso di diversi terreni di cui era diventata proprietaria. Nonostante ciò la condizione economica rimase precaria e la chiesa rischiava continuamente di dover cessare la propria attività liturgica; la situazione poté migliorare in seguito anche per merito di alcuni sacerdoti carismatici ed intraprendenti, che incoraggiarono gli abitanti alla cooperazione e all’impegno diretto negli affari della chiesa.
Nel 1818 Pradipaldo fu elevato a curazia, ma rimase comunque subalterno alla parrocchia di Valle. Gli obblighi nei confronti della parrocchia di Valle non riguardavano solo il curato ma anche i fedeli che, seppur malvolentieri, nelle principali festività dovevano partecipare col curato alle celebrazioni nella chiesa di Valle.
Quasi un secolo dopo, il 28 giugno 1902, don Pietro Follador presentò al vescovo istanza per l'ottenimento del titolo di curazia autonoma, appoggiato dal parere positivo dell’arciprete del vicariato di Lusiana don Domenico Sartori.
Il vescovo Giuseppe Callegari intervenne per risolvere i disgusti e le divergenze che si erano creati negli ultimi anni con la parrocchia di San Floriano e, visto che Pradipaldo aveva un proprio territorio distinto, una propria chiesa dotata di fabbriceria, di cimitero, di fonte battesimale, di registro nascite e morti, di proventi propri ed indipendenti, e quindi era un ente del tutto autonomo, con decreto vescovile del 28 gennaio 1903 riconobbe Pradipaldo curazia autonoma a tutti gli effetti. Al curato fu riconosciuto il diritto di svolgere tutte le funzioni e di amministrare i sacramenti, tranne il matrimonio per la cui celebrazione era sempre necessaria l’autorizzazione del parroco di Valle.
Il curato inoltre non poteva ancora conservare in chiesa gli oli santi, disponibili solo presso la parrocchia di Valle; poteva suonare le campane nel sabato santo solo dopo che avessero suonato quelle di Valle e nella ricorrenza di San Floriano doveva assistere alla messa a Valle, a meno che cadesse di domenica o in altra festività di precetto.
Fu comunque una bella conquista per la comunità di Pradipaldo, liberata pure dalla contribuzione di 40 lire annue in favore del parroco di Valle.
L’elevazione definitiva da vicaria curata a parrocchia avvenne l’11 luglio 1927, per volontà del vescovo Elia Dalla Costa. Il riconoscimento a livello civile da parte della repubblica italiana fu ottenuto nel 10 dicembre 1952 e col decreto del Presidente della Repubblica n°638 del 30 luglio 1953 venne riconosciuta anche la contribuzione statale al mantenimento del parroco.
Con il riconoscimento del titolo di parrocchia, per Pradipaldo cessò ogni obbligo nei confronti della Parrocchia di Valle San Floriano.
Dal 31 maggio 1938 entrò a far parte del territorio parrocchiale anche la contrada Brombe, in comune di Lusiana Conco e fino ad allora parte della parrocchia di Fontanelle; in tal modo gli abitanti di Brombe poterono più agevolmente accedere alle attività religiose e liturgiche.
Dalla seconda meta dell’Ottocento si svilupparono attorno alla chiesa di Pradipaldo varie iniziative.
Negli anni ’80 fu costruita la "nuova chiesa", consistente nell’ampliamento della vecchia, con l'aggiunta di due altari, la creazione dell’abside semicircolare e del transetto trasversale. I lavori iniziarono il 6 agosto 1884 e l’inaugurazione avvenne il 3 aprile 1886. A ricordarlo la lapide che recita:
“PRADIPALDO
DI 370 ABITANTI
DALLA GRANDINE DESOLATA
LANGUENTE IL TERRIERO COMMERCIO
MIRACOLO DI CONCORDIA
QUESTO TEMPIETTO
DAL 6 AGOSTO 1884 AL 3 APRILE 1886
A TUTTE SUE SPESE E FATICHE
INNALZO’.
GRADASSO CURATO”
In precedenza, il 13 novembre 1867, era stato inaugurato il fonte battesimale e nello stesso anno il cimitero; questa sempre maggior autonomia di Pradipaldo accrebbe l’acredine con la parrocchia di Valle San Floriano che vedeva sempre più ridimensionata la propria autorità sulla curazia.
Il 12 settembre 1887, per celebrare e riconoscere gli sforzi fatti dalla popolazione e dal curato, il Vescovo Giuseppe Callegari compì la visita solenne alla “nuova” chiesa di Pradipaldo. A ricordare l’evento è la seguente iscrizione.
“IOSEPH CALLEGARI
Episcopus noster patavinus
primus
TEMPLUM HOC
Solemniter visit
Pridie idus Septembris
MDCCCLXXXVII”
tradotto:
“Giuseppe Callegari Vescovo nostro di Padova
visitò per primo questo tempio il 12 settembre 1887”
Nello stesso periodo, probabilmente sull’onda dell'entusiasmo generale creato dall’intraprendenza di Don Gerolamo Gradasso, i pradipaldesi avevano dato inizio alla costruzione della strada della Fratellanza.
La lapide presente all'interno della chiesa.
Con la crescita demografica dei primi decenni del ‘900, Pradipaldo arrivò ad avere oltre 500 abitanti con 86 famiglie. Secondo il curato era necessario all’interno della chiesa “dividere meglio gli uomini dalle donne e togliere certi nascondigli che assai poco favorivano la pietà ed il raccoglimento”.
Si ipotizzò una ristrutturazione ad hoc, ma la soluzione più condivisa, considerata anche la migliore, era quella di un ulteriore ampliamento.
Con l’avvento della guerra ed il successivo drastico calo demografico, l’ipotesi non ebbe seguito e la struttura della chiesa rimase la stessa di fine Ottocento.
Dal 1751 al 1818, i sacerdoti esercitavano la propria missione in Pradipaldo con il titolo di rettori o cappellani, mentre dal 1818 al 1927 con il titolo di curati. Dal 1927 i preti in Pradipaldo divennero parroci a tutti gli effetti. Qui di seguito l’elenco dei sacerdoti che esercitarono a Pradipaldo:
1751-1754 Pietro Crestani
1754-1770 Marco Andrea Rubbi di Valle S. Floriano
1770-1780 Giuseppe Lombardi
1780-1781 Giovanni Molini
1781-1797 Andrea Pertile
1797-1802 Antonio Bonomo
1802-1806 Gerolamo Farina
1806 Giuseppe Crestani
1807-1808 Giorgio Benvenuti
1808-1811 Giovanni Poli
1811-1817 Mario Pezzini
1817-1829 Antonio Cuman di Marostica
1829-1843 Andrea Nato di Campese
1843-1847 Bartolomeo Pertile di Gallio
1847-1852 Antonio Benetti di Asiago
(per mesi, Beniamino Bertizzolo di Enego e Antonio Zanovello di Montecchio Maggiore Vicentino)
1853-1856 Giovanni Chiesa di Prontremoli (Modena)
1856-1857 Giovanni Sciessere di Lusiana
1858-1862 Domenico Stella di Asiago
1862-1863 Domenico Vescovi di Asiago
1864-1865 Giovanni Ziliotto di Borso del Grappa
1866-1889 Girolamo Gradasso di Pove del Grappa
1890-1895 Antonio Fontana di Zugliano
1895-1955 Pietro Follador di Guia S. Stefano di Valdobbiadene classe 1864
(per qualche mese il cappellano Bruno Parpaiola di Maieniga di Cadoneghe classe 1922)
1955-1984 Alfredo Dal Santo di Caltrano classe 1901
1984-2003 Evaristo Sartori di Fara Vicentino classe 1924
2003-2010 Adriano Bottaro Sabbadin classe 1957
2010-2022 Riccardo Betto classe 1978
2022 Giampietro Ravagnolo classe 1961 (in collaborazione con Giampietro Bacchin, Lorenzo Gaiani, Ottavino Predebon)
I sacerdoti sepolti in cimitero a Pradipaldo sono don Gerolamo Gradasso, don Pietro Follador e don Alfredo Dal Santo.
L’unico sacerdote originario di Pradipaldo è Mario Marchiori classe 1949, attualmente celebrante nella diocesi di Biella, ordinato nel giorno della sua prima messa tenuta a Pradipaldo il 28 giugno 1975.
La casa del sacerdote, inizialmente di dimensioni modeste, fu probabilmente costruita nello stesso anno del vecchio pozzo, quindi nel 1784; fu poi interessata da due importanti ampliamenti tanto che il vescovo Luigi Pelizzo in visita il 25 novembre 1922 riportò: "Per incidenza notiamo la bella canonica, che supera per proprietà e per disposizione di locali tante altre case parrocchiali".
Negli anni ‘80 è stata eseguita la sistemazione del tetto, la realizzazione del nuovo impianto elettrico e di quello di riscaldamento e sono stati posati nuovi pavimenti.
Negli anni ‘10 del nostro secolo sono stati eseguiti altri importanti lavori di restauro del piazzale con muretto di recinzione in pietra bianca e della corte antistante la canonica con pavimentazione sempre in pietra bianca.
Nello stesso periodo sono stati effettuati interventi di ristrutturazione all’interno dell’edificio.
Nella prima metà del ‘900 su iniziativa di don Pietro Follador parte della canonica è stata anche adibita a laboratorio di lavorazione della paglia; nel 1944 ha ospitato alcuni profughi ed è stata sede del comando dell’organizzazione tedesca TODT nel 1945.
All’interno della canonica sono conservati alcuni ex voto a Sant’Osvaldo ed una Madonna lignea del ‘700 recuperata in cattive condizioni dal capitello di via Fantini e poi sapientemente restaurata.
Le facciate della chiesa e della canonica.
Canonica e chiesa con il campanile sullo sfondo.
L’antico campanile di Pradipaldo fu costruito nel 1788, come testimonia la data incisa su una vecchia lastra rinvenuta fra alcune macerie.
Nei primi decenni del ‘900 il campanile presentava grossi problemi strutturali e gli abitanti nel 1934 avanzarono una supplica al comune di Vallonara per ottenere il contributo per la ricostruzione, che era stato loro promesso già negli anni della guerra.
Una delibera comunale prevedeva il finanziamento per i lavori dei campanili di Vallonara e di Pradipaldo, ma i fondi arrivarono effettivamente solo a Vallonara. Nella petizione furono citati anche improbabili danni dovuti a cause belliche, forse nel tentativo di ottenere un contributo economico, che all’epoca il ministero per le terre liberate concedeva in favore delle strutture danneggiate nelle provincie venete.
Le richieste dei Pradipaldesi erano sostenute a livello formale dalla perizia sulla statica del campanile, voluta dal comune di Vallonara, dell’ingegner Giovanni Tescari di Marostica datata 10 maggio 1928.
La perizia, descritte forma e dimensioni della struttura, ne evidenziava le criticità.
Il vecchio campanile aveva un basamento alto 2,8 metri a sezione quadrata troncopiramidale; partiva da un lato alla base di 3,6 metri che si riduceva fino a 2,5 metri; di lì si elevava la canna della torre alta 12,8 metri e su di essa poggiava la cella campanaria. La muratura della torre aveva uno spessore costante di circa mezzo metro. La cella campanaria (ma non il castello in cemento con le campane) era stata demolita per ragioni prudenziali probabilmente già agli inizi del ‘900.
Dalla perizia emerge che strutturalmente il campanile presentava rigonfiamenti e fenditure su più lati a dimostrazione di un cedimento delle fondamenta e quasi certamente anche del mancato legamento degli angoli con i muri laterali. La muratura era costituita di pietrame minuto posto in malta con calce comune e sabbia locale, contenente molta sostanza terrosa che non consentiva un’efficace coesione.
L'ingegnere, data la precarietà del manufatto, consigliò il suono a rintocchi e non a distesa, di una sola campana delle più piccole, onde evitare pericolose oscillazioni.
I lavori di demolizione del vecchio e di costruzione del nuovo campanile in pietra scalpellata, iniziarono nel 1936, ma vennero interrotti nel 1939.
L’Italia fascista nel 1940 era entrata in guerra e per sostenere lo sforzo bellico il regio decreto n° 505 del 23 aprile 1942 imponeva ad ogni chiesa di consegnare le proprie campane allo stato italiano, che le avrebbe fuse per convertirle in cannoni e altre armi.
Non fidandosi delle promesse di futuro indennizzo, don Pietro Follador pensò bene di nascondere le campane, sotterrandole.
Anni '30. Il campanile in demolizione in una cartolina.
Nell’immediato dopoguerra, 1946, ripresero i lavori di costruzione che terminarono nel 1947.
Il 4 agosto dello stesso anno il nuovo campanile alto 37 metri fu inaugurato ufficialmente alla presenza dell’arciprete di Marostica don Casto Poletto.
L’attuale quadrante dell’orologio che sostituisce quello precedente, è stato apposto dal parroco don Alfredo Dal Santo sul finire degli anni '60 e porta scolpite le parole “Fugit irreparabile tempus” (il tempo fugge irreparabilmente) - “Fili conserva tempus” (o figliolo, fa’ buon uso del tempo) “A/Z” (le lettere A/Z simboleggiano il principio e il fine di ogni cosa, cioè Dio).
Le campane, realizzate dalla ditta Fagan di Torri di Quartesolo (Vicenza), sino agli anni ‘70 suonavano a corda per mano prima dello storico campanaro Antonio Vanzo e poi dell’ultimo campanaro Germano Lunardon; vennero quindi elettrificate, anche se qualche decennio dopo, per merito del maestro suonatore di campane Manuel Bressan, venne reintrodotto il suono a corda in abbinamento a quello elettrico.
La costruzione del nuovo campanile mise a dura prova l'impegno di scalpellini, muratori ma anche manovali tra cui lo stesso parroco.
A testimonianza di questa bella impresa che vide coinvolta una parte cospicua della comunità il dialogo tra don Pietro Follador, Bortolo Marchiori e Matteo Crestani, per l’inaugurazione del “campanile novo”:
Matio: Ti ricordito carissimo compare
quando le campane gavea finio sonare
quel silenzio general
ne procurava ogni tal.
Bortolo: « Paese morto, popo finio »
te disevi ti Matio
«senza la so voxe
semo come in crox».
Matio: E Don Piero sxamava
dappertutto come un’ava
ripetendo: La provvidenza
non ne lascerà senza.
Don Piero: E difatti xe sta vero
eccolo adesso tut'intero
il campanil a portare
le campane da sonare.
Bortolo: Ma quante difficoltà
no gavemo superà:
Sabbia, giara e sassi
ne ga costà gran passi.
Matio: Don Piero ga lavorà
non vardando alla sua età:
da manuale e muradore
el ga fatto tutte le ore.
Don Piero: E Matio ga sempre misurà
ma in alto nol xe andà
eppure col so metro
s'è rivelà geometra perfetto.
Bortolo: Il Signore ne ga proprio benedio
nessun se ga mazza ne ferio
mentre tutti ga lavorà
come i fusse sempre pagà.
Don Piero: Paga el Signore come nessun,
dà a tutti il cento per un
su questa terra e pò il paradiso
dove eterno xe il sorriso
Tutti: Viva donchè il novo campanil
grande e bello, maestoso e sottil
viva la nostra grande arminia
eterna la sia.
Anni '50. Il campanile visibile dal castello di Marostica.
Anni '70. Il campanile.
Il campanile oggi.
Il campanile oggi.
Il campanile durante il tramonto oggi.